Immaginate di dedicarvi agli studi per anni, di cercare tirocini, stage, di fare tutta la gavetta necassaria (forse fin troppa) per arrivare lì dove vi meritate di essere. Finalmente ruscite a ottenere la vostra poltrona. Di colpo un robot spalanca la vostra porta e senza alcuna intonazione vi fa “Sei licenziato. Il tuo lavoro adesso è il mio!”. Distopia remota che non ci tange? Think again! Tablet al posto dei camerieri, casse automatiche anziché dipendenti stipendiati, amichevoli infermieri di latta che comparano i vostri parametri vitali meglio del vostro dottore: ogni professionista ha un rivale in silicio progettato per fargli mangiare la polvere. Presto la pancia invoca un luddismo 2.0, ma le ragazze di Porta Nevia sanno bene che questa si adopera a tavola, mentre il mondo va affrontato di testa. Il Magistrato del Tribunale di Roma Fabrizio Gandini ci ha invitato a riflettere su queste idee: ci siamo scoperte sensibili a un tema che ci tocca da vicino ma mai spaventate perché il lavoro giuridico è l’arma che può rimodellare le nuove tecnologie negli interessi di tutti gli attori di questa società. Forse nessuno sarebbe stato in grado di prevedere la poderosa catena di risvolti economici, sociali, giuridici che la tecnologia ha innescato. Riflettere sulla loro portata e arginare questo fiume in piena come ci ha dato occasione di fare il Magistrato Gandini è il modo di godere delle enormi potenzialità di sviluppo che essa ci offre senza esserne sopraffatti: è molto facile trovare un ragazzo che preferisce fare un ordine tramite app piuttosto che al telefono per evitare l’imbarazzo di parlare con una persona o chi si rivolge al medico “motore di ricerca” piuttosto che al medico di base. Tutte queste interazioni vengono evitate perché negative. Il rapporto tra i cosiddetti “professoroni” e quelli che “hanno fatto le loro ricerche su internet” si sta esacerbando sempre di più. Certo, se internet non esistesse non ci sarebbe modo di alimentare questo conflitto. La soluzione qual è, chiudere l’etere? Imbavagliare quelli che, inebriati dal libero accesso all’informazione, si concedono di divulgare le più pericolose fandonie? O forse è il caso di mettersi all’opera per pacificare il tessuto sociale?